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Un paniere di sapori forti quello che un agriturista può sperimentare nella antica terra dei Bruzi o dei coloni della Magna Grecia: i vini si caricano di profumi particolari e i salumi più diffusi, le soppressate ed i capicolli, presentano a volte l'inconfondibile piccante del peperoncino, che, se è pur vero che arrivò dall'America con Cristoforo Colombo, qui certo ha trovato una sua patria di elezione. La Calabria, infatti, è l'unico posto al mondo in cui possiamo bere un incredibile liquore a base di cedro e peperoncino, una vera e propria bomba digestiva capace di stimolare beneficamente gli stessi succhi gastrici. Ma fermiamoci soprattutto su due autentici ed esclusivi sapori calabresi: il cedro candito ed i "panicilli di D'Annunzio". In una fascia territoriale assai ristretta, nell'area costiera che va da Praia a Mare a Bonifati, cresce una varietà unica di cedro, il "cedro Diamante", dalla caratteristica forma a bottiglia e dalla scorza liscia e spessa e da cui si ricavano essenze, liquori e canditi eccelsi. La storia del cedro calabrese è veramente particolare e merita forse qualche parola. Secondo la leggenda, il cedro nacque in cielo e fu donato, come dono di nozze, da Giove a Giunone; originario, in realtà, dall'Oriente, questo frutto è continuamente citato nell'antico Testamento ed è una presenza significativa nella cultura ebraica, tanto che ancora oggi, in Calabria, al tempo della sua maturazione, giungono i rabbini ebrei alla ricerca dei frutti migliori per la celebrazione di Sukkot, la festa delle Capanne. I frutti, tagliati in modo rituale ed avvolti in teli di canapa, vengono poi inviati alle varie comunità ebraiche del mondo. Nella nostra tradizione, invece, la buccia del cedro viene candita o si ricava dal frutto una bibita dissetante e piacevole, la cedrata, mentre un tempo il suo uso era prevalentemente farmacologico, come controveleno per le serpi. La buccia candita entra, inoltre, a far parte di quella vera chicca che sono i 7, cli D'Annunzio", dolci involucri di foglie di cedro ricchi di uva passa e scorza candita, così chiamati perché il poeta vate, che molto li amava, ne cantò le lodi nel suo romanzo Leda senza cigno: "Sorrido pensando a quegli involti di fronde compresse e risecche, venuti di Calabria, che un giorno vi stupirono e vi incantarono.... Ci voleva l'unghia per rompere la prima buccia... Ma ecco l'ultima foglia in cui è avvolto il segreto profumato come il bergamotto... Pochi acini di uva appassita ed incotta... umidi e quasi oliati di quell'olio indicibile... pochi acini del grappolo della vite del sole.., con che di luminoso nel bruno, con un sapore che ci delizia prima di essere assaporati". Aveva ragione D'Annunzio: sono una vera leccornia! |